L'Europa e il mondo dopo il conflitto
La conferenza di pace e la Società delle Nazioni
Nel 1919 i rappresentanti delle potenze vincitrici si riunirono a Parigi. Solo tre però avevano un’effettiva autorità: il presidente americano Woodrow Wilson, il presidente del Consiglio francese Georges Clemenceu e il primo ministro inglese David Lloyd George. L’Italia si trovò emarginata a causa dei dissidi sorti soprattutto con Wilson in merito alle rivendicazioni territoriali sulla Dalmazia. Wilson aveva fissato in Quattordici punti i principi fondamentali, tra cui l’autodeterminazione dei popoli e quello secondo il quale i confini devono comprendere coloro che parlano la stessa lingua e hanno la stessa nazionalità. Successivamente venne creata la Società delle Nazioni, con sede a Ginevra, preposta a regolare pacificamente le controversie tra gli stati eliminando l’ingiustizia, la violenza e ogni forma di attrito tra i popoli. Essa non riuscì però a funzionare efficacemente e finì nelle mani della Francia e dell’Inghilterra, facilitate soprattutto dalla mancata adesione degli Stati Uniti. Non disponeva però di alcun mezzo concreto d’intervento, se non quello di porre al bando applicando sanzioni economiche.
I trattati di pace
Dalla conferenza di pace scaturirono cinque trattati, il più importante fu il trattato di Versailles con la Germania, vista come un umiliazione: perdite territoriali (Renania smilitarizzata e perdita di Alsazia e Lorena), riduzione dell’esercito e della flotta e sanzioni economiche, cioè risarcimento a tutte le nazioni vincitrici e al Belgio, oltre alla cessione ai vincitori di miniere. Tali clausole consentono il risorgere dello spirito di rivincita tedesco a causa del rifiuto di discutere con i vinti, impossibile alcuna ripresa economica dei paesi sconfitti, la sistemazione territoriale non sempre rispettosa delle varie nazionalità e l’aggravamento delle differenze già esistenti fra nazioni ricche e povere. La Germania dovette cedere porzioni del suo territorio alla Polonia consentendo la nascita del corridoio di Danzica che dava alla Polonia uno sbocco sul mar Baltico. Le questioni riguardanti l’Italia furono regolate tramite il trattato di Saint-Germain con cui l’Austria era costretta a cedere il Trentino, l’Alto Adige, l’Istria e l’alto bacino dell’Isonzo fino allo spartiacque alpino. L’Italia non ottenne la Dalmazia e Fiume, portando a parlare di vittoria mutilata alimentando così un sentimento nazionalista. Sempre con il trattato di Saint-Germain nacquero l’Austria, l’Ungheria, la Cecoslovacchia e il regno di Iugoslavia, la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania; fu riconosciuta inoltre l’indipendenza dell’Albania. Col trattato di Neuilly era riconosciuta l’indipendenza della Bulgaria. Con il trattato di Sèvres la Turchia si trovò ridotta a uno stato di modeste dimensioni e privata di tutti i territori arabi e della sovranità sugli stretti; venne proclamata la repubblica turca. La Francia ottenne il mandato su Siria e Libano, l’Inghilterra su Iraq, Transgiordania e Palestina. Ciò suscitò il risentimento delle popolazioni arabe che osteggiavano il progetto di costruire in Palestina una sede nazionale ebraica. La spinta all’indipendenza dei popoli arabi aveva portato alla creazione del regno dell’Arabia Saudita.
In Europa scoppiò un’epidemia influenzale, la spagnola, che provocò in poco tempo milioni di morti. Il disegno dei nuovi confini sollevò il problema dei profughi e creò nuove minoranze etniche.
Con la fine della guerra ebbe inizio una nuova fase anche per i paesi coloniali, che avviarono un travagliato percorso di emancipazione delle potenze occidentali. L’Inghilterra aveva concesso l’indipendenza agli stati del Commonwealth e all’Egitto, dove però mantenne il controllo del canale di Suez. Dopo la guerra ebbe inizio la lotta per l’indipendenza dell’india, guidata dal Mahatma Gandhi e condotta attraverso il principio della non-violenza.
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